Argomento che costituisce la struttura portante anche de Il processo. Nel famoso romanzo, l'impiegato Josef K. (sorta di tragico antesignano - su ben altri livelli letterari, si intende - dell'Ugo Fantozzi del nostro Paolo Villaggio) rimane vittima della sua stessa incapacità di ribellarsi all'assurda farsa di un processo che terminerà con l'esecuzione sbrigativa - mi viene da dire burocratica - di una condanna a morte altrettanto assurda.
Di tale processo sfugge ogni motivazione; ma anzichè opporsi, Josef K. non riuscirà a liberarsi dalla convinzione - e dalla speranza - che una qualche motivazione in realtà ci sia; e fino all'ultimo continuerà a sperare di ottenere una risposta, da un tribunale tanto sgangherato quanto privo di ogni umanità.
Come ne La metamorfosi, il senso di colpa prevale sulla libertà personale, la schiaccia completamente e la ottunde: "Come un cane!", disse, e fu come se la vergogna dovesse sopravvivergli. Sono queste le ultime parole e l'ultimo pensiero di Josef K., mentre la vita lo sta lasciando.
Nel Un messaggio dell'imperatore invece prevale il senso dell'attesa; l'attesa di una ragione per vivere, di un significato con cui riempire un'esistenza; esistenza che Franz Kafka terminerà tristemente, il 3 giugno del 1924, all'età di soli 41 anni.
L’imperatore – così si racconta – ha inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto, sussurrandogli il messaggio all’orecchio; e gli premeva tanto che se l’è fatto ripetere all’orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l’esattezza di quel che gli veniva detto. E dinanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte (tutte le pareti che lo impediscono vengono abbattute e sugli scaloni che si levano alti ed ampi son disposti in cerchio i grandi del regno) dinanzi a tutti loro ha congedato il messaggero. Questi s’è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l’uno or con l’altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, accenna al petto su cui è segnato il sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme; e le sue dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all’aperto, come volerebbe! e presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano alla tua porta. Ma invece come si stanca inutilmente! ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale; e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla: c’è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dell’ultima porta – ma questo mai e poi mai potrà avvenire – c’è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo, ripieno di tutti i suoi rifiuti. Nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto. Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera.
Franz Kafka, Un messaggio dell'imperatore (da La metamorfosi e altri racconti, Mondadori)
Immagine dal film La città proibita, di Zhang Yimou
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