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sabato 2 agosto 2014

Jorge Luis Borges

L'opera di Jorge Luis Borges  - uno dei maggiori scrittori del '900 - non ha certo bisogno della mia professione di fede per continuare ad essere amata ed apprezzata da schiere di lettori in tutto il mondo. Qui intendo parlare della mia personale predilezione per lo scrittore argentino sulla scia di quanto scritto nei miei post precedenti, riguardo al fascino di ciò che ci appare enigmatico ed inafferrabile. Di Borges amo la scrittura, cesellata con esattezza matematica (non nego che a molti potrà sembrare fredda e distante). Da parte mia, talvolta avrei voluto essere argentino, per poterne apprezzare ogni sfumatura. Dopo, mi affascina il suo gusto per il paradosso, la precisione metafisica delle descrizioni, l'estremismo logico, l'erudizione vastissima e multiforme. La circolarità del tempo, il caleidoscopio delle apparenti coincidenze, il labirinto ordinato, le infinite biforcazioni della storia. La prima opera di Borges che mi capitò di leggere - forse da liceale - fu la raccolta di racconti Finzioni. Vi propongo un brano tratto dal racconto La Biblioteca di Babele, nella traduzione di Franco Lucentini per Mondadori.



  L'universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d'un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d'una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un'altra galleria, identica alla prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due gabinetti minuscoli. Uno permette di dormire in piedi; l'altro di soddisfare le necessità fecali. Di qui passa la scala spirale, che s'inabissa e s'innalza nel remoto. Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze. Gli uomini sogliono inferire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se realmente fosse tale, perché questa duplicazione illusoria?) io preferisco sognare che queste superfici argentate figurino e promettano l'infinito... La luce procede da frutti sferici che hanno il nome di lampade. Ve ne sono due per esagono, su una traversa. La luce che emettono è insufficiente, incessante.
   Come tutti gli uomini della Biblioteca, in gioventù io ho viaggiato; ho peregrinato in cerca di un libro, forse del catalogo dei cataloghi; ora che i miei occhi quasi non possono decifrare ciò che scrivo, mi preparo a morire a poche leghe dall'esagono in cui nacqui. Morto, non mancheranno mani pietose che mi gettino fuori della ringhiera; mia sepoltura sarà l'aria insondabile; il mio corpo affonderà lungamente e si corromperà e si dissolverà nel vento generato dalla caduta, che è infinta. Io affermo che la Biblioteca è interminabile. Gli idealisti argomentano che le sale esagonali sono una forma necessaria dello spazio assoluto o, per lo meno, della nostra intuizione dello spazio. Ragionano che è inconcepibile una sala triangolare o pentagonale. (I mistici pretendono di avere, nell'estasi, la rivelazione d’una camera circolare con un gran libro circolare dalla costola continua, che fa il giro completo delle pareti; ma la loro testimonianza è sospetta; le loro parole, oscure. Questo libro ciclico è Dio.) Mi basti, per ora, ripetere la sentenza classica: «La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile».

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